Carlo Ferruccio Tondato Carlo Ferruccio Tondato
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La musica di Carlo Ferruccio Tondato

Beethoven alla Passacaglia

Release Date: 25 December 1997
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Ludwig van Beethoven

Gli strumenti utilizzati dall’artista per dare una forma compiuta al progetto nato dalla sua fantasia possono essere estremamente complessi; strumenti intesi naturalmente come elementi formali che concorrono a formare il particolare linguaggio di un artista.

Un esempio significativo di tale realtà può essere rappresentato dalla immagine che compare sull’astuccio di questo nuovo Compact Disc; mi è particolarmente gradito fermare un istante l’attenzione su questa immagine, poiché essa rappresenta la fotografia di un’opera di Federica, che, seguendo l’esempio della sorella Marina, ha voluto ella pure fare omaggio al papà di qualche cosa nato dalla sua fantasia. Si noti come l’oggetto fotografato sia il risultato di una serie di negativi tridimensionali, che hanno reso possibile la realizzazione dell’oggetto stesso con un materiale semielastico e semitrasparente in grado di catturare bagliori di luce, che vengono successivamente restituiti allo sguardo profondamente trasformati.

E’ interessante osservare la composizione quasi modulare degli elementi che la costituiscono e notare come l’armonia ed il fascino della composizione stessa nasca da un nuovo modo di presentare in due sole dimensioni una “cosa” che tradisce la sua materialità nell’istante in cui la luce, penetrata in modo diverso nell’oggetto in funzione dei diversi spessori delle sue varie sezioni, ne rivela non solo la fondamentale tridimensionalità, ma anche la stessa struttura, quasi alla guisa di una radiazione Roentgen che attraversi un corpo.

Questa composizione ha attirato la mia attenzione e la considero un esempio particolarmente calzante per esprimere alcune considerazioni personali sulla straordinaria poetica dell’autore ospite quest’anno della Passacaglia. Non c’è alcun dubbio che non vi sia alcuna possibilità di dire qualche cosa di nuovo su Beethoven nel solco tracciato dalla critica e dalla storiografia tradizionali, tuttavia mi sento di svolgere alcune considerazioni su alcune particolarità della sua poetica, per metterne in risalto la sua eccezionale attualità.

Osservando a ritroso il percorso del Genio beethoveniano, non è difficile riconoscere come anche le opere della giovinezza rechino in sé bagliori di mutamenti estemporanei dell’idea primaria, che incidono sull’evo­luzione di un’idea musicale allo stesso modo in cui lo scultore attacca la materia dalla quale nascerà la sua opera. Tutto ciò diventa di un’evidenza priva di alcun dubbio quando ci s’incontra con le sue ultime opere: la forma musicale tradizionale non è abbandonata, poiché le componenti del suo nuovo linguaggio procedono secondo una logica cui eravamo assuefatti dalla tradizione, ma l’arco della concezione musicale stessa non appoggia più su pochi punti di riposo metrici, ma si libra di volta in volta lungo nuovi percorsi dal respiro fino allora sconosciuto. Nascono in questo modo nuove opere che possono dilatare la forma-sonata fino alla inconsueta ampiezza di ben sette movimenti, (quartetto op. 131), nasce un nuovo modo di sviluppare la Fuga, (Sonata op.110), nasce un nuovo modo di svilup­pare l’idea stessa del Tema con Variazioni (Sonate op. 109 e op. 111).

E proprio su alcune particolarità di quest’ultima forma di composizione vorrei soffermarmi un istante, per osservare come tale elegantissima forma musicale, caratterizzata dalla semplicità, sia sempre apparsa, persino nella celeberrima Ciaccona della Sonata per violino solo di J.S. Bach, uno strumento adatto a ripetere, approfondendola, la linea del tema apportandovi frastagliature, trine e virtuosismi che per l’appunto sul contorno tematico trovano il loro supporto e la loro logica giustificazione.

Cosa avviene ora in presenza del Genio beethoveniano? Il Tema è sempre presente, ma il numero delle battute non corrisponde più, il giro armonico diventa sorprendente, la materia sonora stessa si dissolve in figurazioni composite e trilli evanescenti. Eppure il Tema è sempre presente, ma è come se, invece di limitarci ad osservare i contorni di un’idea musicale, allo stesso modo in cui la luce del mattino, del mezzogiorno o della sera crea volumi sempre cangianti e nuovi pozzi di ombre intorno ad un massiccio alpino, la nuova variazione osserva la sua matrice da un punto di vista che offre luci ed ombre sempre nuove, non necessariamente simmetriche; non solo, ma talvolta è come se il Genio, insoddisfatto dell’osservazione della superficie del Suo oggetto, lo volesse sezionare per rivelarne la geometria interna.

Certamente questo è solo uno degli aspetti della nuova poetica; in realtà occorrerebbe mettere in luce altre singolarità del linguaggio dell’ultimo Beethoven, una delle quali comunque non può essere trascurata e cioè come il fondamentale rapporto dialettico tra due o più temi, che sta alla base stessa della concezione della forma-sonata evolva in una direzione nuova. Le valenze delle due o più idee musicali poste a confronto non rappresentano più il contrasto tra un ‘idea forte ed una più debole o più dolce; quando l’idea musicale si spezza in più rami, essi corrispondo­ no piuttosto alla rappresentazione dei dubbi o dei conflitti che l’autore intrattiene con se stesso e da tale contrasto, sia esso irrisolto, come nel drammatico finale del quartetto op. 131, oppure superato come nella gioiosa conclusione della Fuga dell’opera 110, scaturisce sempre il bagliore corrusco di una luce purissima ed abbacinante, trascendente la pura materia sonora.

All’inizio ho fatto riferimento all’attualità di Beethoven; in realtà avrei dovuto citare piuttosto le necessità di osservarne il Genio per riapprendere una virtù dimenticata: la ricerca della verità è un’impresa che spetta ad ogni essere umano, ma che non si può condurre collettivamente: la Fede non può essere la semplice accettazione di una teoria o di una serie. di avvenimenti che altri ci narrano: la preghiera, la comprensione reciproca, la carità e la tolleranza possono essere virtù che si esprimono collettivamente, ma soltanto la consapevolezza di avere seguito la propria natura e sfruttato i propri talenti nella ricerca dello Spirito può dischiude re come a Beethoven le porte di quella Gioia, che solo si può provare quando si raggiunge la coscienza di essere entrati in risonanza con lo stesso principio dell’armonia che presiede alla creazione dell’universo e della vita in esso contenuta.

Grazie a Beethoven per averci ricordato tale virtù, offrendoci l’occasione di sviluppare alcune di queste considerazioni.

Cenni storici

Sonata Op. 28 in Re magg.

Composta nel 1801, recava sul frontespizio della prima edizione il titolo originale di “Grande Sonata per il pianoforte” e segue immediatamente la composizione delle due Sonate dell’opera 27, delle quali la seconda ebbe una straordinaria fortuna e viene comunemente riconosciuta come “Sonata al chiaro di luna”. Dato il clima di particolare serenità che pervade la sonata op. 28 ed in particolare il ritmo di sei ottavi che caratterizza l’ultimo tempo, essa viene spesso indicata come “Pastorale”. La struttura di tale composizione è ampia, ma segue i canoni generali del formalismo sonatistico con perfetta regolarità: il primo tempo è rigorosamente bitematico e tripartito, con obbligo della ripetizione dell’esposizione per dare alla struttura una perfetta simmetria. Tripartita è pure la struttura dell’Andante: alla sua esposizione nella tonalità di Re minore (con ritornelli) segue un trio in Re maggiore, dopo di che la composizione ritorna al tono minore introducendo una complessa variazione del tema precedente, chiusa da una coda drammatica ed incisiva. Il breve Scherzo, elementare ma corrusco, ritorna alla tonalità di Re maggiore ed è intercalato da un breve trio in Si minore. Nella tonalità originale segue un brillante Rondò articolato su tre ripetizioni del tema e la comparsa di almeno due idee secondarie, concluse da una coda che è al tempo stesso una variazione fiorita sul basso continuo del tema ed una breve, gioiosa affermazione di virtuosismo strumentale.

Sonata op. 109 in Mi magg.

Prima del celebre trittico, costituente quasi il testamento formulato da Beethoven per la Sonata pianistica, prima espressione d i una scomposizione formale del genere sonatistico, peraltro coerente allo spirito che informa il progetto musicale della Sonata, questo capolavoro venne alla luce nel periodo compreso tra i l 1919 ed il 1820, dunque quasi vent’anni dopo la stesura della “Pastorale”. Dei tre movimenti, il primo è forse quello che formalmente più si discosta dalla Sonata tradizionale, poiché a stento si potrebbe interpretare la duplice introduzione di due brevissimi adagi, inseriti tra il dolcissimo fluire di semplici quartine, come secondo tema della Sonata; il valore formale può esservi riconosciuto, ma la sorpresa offerta all’immaginazione dell’ascoltatore è certamente tanto nuova, da non poter essere paragonata a nessun’altra composizione precedente. Assai più semplice il secondo movimento, Prestissimo, diviso in due Parti simmetriche intercalate da un lungo pedale di dominante: qui lo spirito dello Scherzo trova una forma nuova nell’inconsueto ritmo di sei ottavi, ribelle ed irruente, in forte contrasto con il clima generale della Sonata. Il terzo movimento è costituito da una serie di sei variazioni sviluppate su di un tema di rara bellezza, oscillante tra lo struggimento e la semplicità; come tale composizione possa toccare le più alte vette della fantasia e della musica stessa si è già cercato di dire nella parte generale di questo breve commento.’

Sonata op. 110 in La bemolle maggiore.

La Sonata op. 110 venne alla luce esattamente vent’anni dopo la composizione della “Pastorale” presenta notevoli analogie strutturali con la precedente op. 109, in quanto il centro del1’attenzione drammatica, inteso come principale elemento propulsore del progetto, si sposta verso i movimenti destinati a concluderla. Nel primo tempo l’idea principale si salda quasi senza discontinuità con gli elementi successivi, offrendo uno splendido esempio del fluire di un cantabile tutto pervaso di dolcezza ed intimità. Nel secondo movimento assistiamo ancora una volta all’evoluzione della forma dello Scherzo: la scansione ravvicinata dei tempi forti ottenuta con la contrazione del ritmo a soli due quarti imprime al brevissimo pezzo uno sviluppo quasi precipitoso, in cui la dinamica del tema esalta ancora una volta un desiderio di volontà di potenza, tipicamente beethoveniano. Ma è nella sequenza degli elementi costituenti l’originalissimo Finale che si dispiega la grande fantasia e l’incredibile genio del grande Architetto. Si inizia con un breve, intenso recitativo che apre la via ad un Adagio ma non troppo, dove la linea melodica ha un’intensità paragonabile a quella della voce umana. Tale movimento sfocia in una Fuga che su pochi suoni, dispiega a poco a poco un’energia fino a pochi istanti prima del tutto insospettata, per culminare su un pedale di dominante dal quale sboccia drammaticamente ancora una volta l’Adagio precedente. nella lontana tonalità di Sol minore. L’episodio si ritrae sempre più in se stesso e sulla base di alcuni accordi in crescendo riesplode l’energia della Fuga, che viene riproposta con il Tema rovesciato; nello sviluppo successivo entrambi i temi della Fuga si rincorrono ed intrecciano in una rincorsa entusiasmante, per culminare in una esplosione di suoni risplendenti di purissima gioia.