Carlo Ferruccio Tondato Carlo Ferruccio Tondato
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La musica di Carlo Ferruccio Tondato

Debussy alla Passacaglia

Release Date: 25 December 1998
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Claude A. Debussy – Il suo linguaggio musicale

Se è vero, che la qualità suprema dell’artista consiste nella straordinaria capacità di osservare il mondo che ci circonda in modo assolutamente inedito, suscitando al tempo stesso sorpresa ed entusiasmo in colui che viene in contatto con la sua opera, non è difficile rendersi conto che l’intero processo della nascita dell’opera d’arte e della sua comunicazione contiene elementi a dir poco irrazionali, che ne esaltano il valore intrinseco, quanto il fascino.

Se si cerca di sviluppare un’analisi critica di questa straordinaria attività dell’uomo, si sarà indotti a cercare di scoprire le singolarità più importanti che possono definire il linguaggio di un determinato artista ed a riconoscere come lo stile che gli è proprio sia anche unico.

Tale tipo di analisi ci aiuterà a comprendere inoltre che alcuni elementi del linguaggio di un determinato artista sono rigorosamente personali, mentre altri possono essere ricondotti ad una matrice comune ad un certo numero di artisti appartenenti alla stessa epoca, poiché tutti sono almeno in parte condizionati dai mezzi espressivi disponibili, dalla moda del tempo e, nel passato più lontano, anche dal gusto di un eventuale Mecenate.

Si può comunque facilmente affermare che da questo punto di vista si possono riconoscere due distinte categorie di artisti: esistono coloro che accettano di sviluppare la loro arte partendo dagli elementi tipici del linguaggio del loro tempo e che con un lungo, paziente esercizio della loro professione lentamente affinano il proprio linguaggio mettendo a fuoco poco alla volta gli elementi che definiscono la loro personale poetica, mentre per altri è imperativo fin dai primi passi abbattere le barriere della consuetudine e della scolastica, affidando alla sola responsabilità della loro intuizione e della loro genialità il compito di scoprire le nuove forme ed i nuovi stilemi, capaci di esprimere il loro messaggio.

Certamente l’arco di tempo che sta tra il tramonto del diciannovesimo secolo e l’alba del ventesimo fu particolarmente ricco di artisti che in ogni disciplina sentirono l’esigenza irrinunciabile di uscire dagli schemi noti e cimentarsi in forme assolutamente nuove, talvolta anche rivoluzionarie. Non esiste il minimo dubbio che la personalità di Claude Achille Debussy si configura come quella di un artista che soltanto attraverso l’invenzione e l’elaborazione di un linguaggio musicale assolutamente nuovo poteva esprimere la sua originalissima visione del mondo, ricca di un fascino sottile ed inebriante che meglio di qualsiasi altro segna l’avvento di una nuova era.

Claude Debussy non è stato certamente l’unico grande musicista moderno a sentire ed esprimere le esigenze di una nuova musicalità, ma è certo che, mentre altri hanno sviluppato una propria poetica partendo da posizioni intellettualistiche, talvolta addirittura legate ad ideologie correnti mutuate da altre discipline, oppure costruendo una nuova dialettica musicale per mezzo di una faticosa sperimentazione, Debussy fin dai primi passi eseguiti durante, la sua formazione accademica manifestò sempre un istintivo rifiuto degli schemi dell’armonia classica, al punto da indurre i suoi insegnanti a scambiare per incapacità la sua profonda esigenza di uscire dalla prigione della scolastica.

L’esigenza di impiegare mezzi espressivi sempre nuovi e via via sempre più raffinati lo accompagnò in tutto l’arco della sua evoluzione e, se le sue prime audacie armoniche possono sembrare oggi alquanto modeste, al limite quasi goffe, anche se arricchite da alterazioni del linguaggio consueto incredibilmente sorprendenti, occorre tener presente che egli non rinunciò mai ad innovare continuamente gli strumenti del suo linguaggio musicale, giungendo a proporre acrobazie armoniche e costruire combinazioni di frammenti musicali apparentemente incompatibili, sempre tuttavia nella più straordinaria coerenza dell’evoluzione della sua poetica.

Il suo continuo divenire appare sempre orientato in modo estremamente sottile alla ricerca di elementi musicali sempre più sofisticati, costruiti sulla suggestione che la vibrazione di ogni suono, anche isolato, porta con sé e capaci di cogliere la più piccola variazione di intensità della luce racchiusa nella sua ispirazione e nella sua fantasia.

L’inclinazione a scoprire il suo nuovo linguaggio attraverso un’analisi del tutto nuova del fenomeno della risonanza esprime assai bene almeno una delle istanze del suo tempo e cioè il dubbio nei confronti dei vecchi dogmi; la rivalorizzazione del suono come elemento diretto di ispirazione suggerisce contemporaneamente la scoperta di una nuova sensibilità, cosciente della sensualità del messaggio affidalo al suono.

Una tale sensibilità ben si addice ad esprimere gli aneliti della nuova musica del ventesimo secolo, in bilico tra sensualità ed astrazione. La consapevolezza dell’astrazione del linguaggio musicale è un altro punto di estrema importanza per comprendere correttamente la poetica di Debussy: nella sua vasta produzione egli toccò tutte le più importanti forme musicali, dal sinfonismo all’opera lirica, dalla musica da camera, affidata talvolta anche ad una compagine di strumenti non convenzionale (si pensi, ad esempio, allo stupendo trio per flauto, viola ed arpa) allo strumento solista, sia esso il pianoforte, il flauto o la sola voce.

Debussy sperimentò quindi la composizione di quella musica, che dal significato del testo trae la propria ispirazione, accentuando oltre il limite della concitazione verbale il contenuto del suo messaggio; in questo procedimento la musica è libera di mutare accento ad ogni istante, non curandosi di forma alcuna ed il clima predominante che ne scaturisce è segnato in Debussy dalla magia, dal mistero, dall’enigma.

La musica esclusivamente strumentale generalmente invece trae le sue origini ritmiche dalle varie forme di danza e la sua struttura dall’opportuna imitazione a livelli diversi dell’idea musicale iniziale, dando luogo alla costruzione di mirabili architetture sviluppate nel tempo, ricche di simmetrie, di decorazioni, di contrapposizioni dialettiche tra soggetti musicali diversi; tali procedimenti male si adattano alla poetica di Debussy, che ne rifiuta i principi, sostituendoli nella sua produzione strumentale con costruzioni equivalenti, che si sviluppano con un procedimento costituito piuttosto da allusioni all’idea originale ed evocazioni dell’ambiente sonoro nel quale esse si originano.

Difficilissimo compiere un’analisi formale delle sue composizioni in senso tradizionale, abbastanza naturale riconoscere come il risultato di percorsi tanto inconsueti sia una perfetta evoluzione in senso ideale delle tradizionali forme della Suite, del Trio, del Quartetto, ecc. Nell’interpretazione formale di molte sue composizioni si può tuttavia essere tratti in inganno dal fatto che ad alcune di esse viene attribuito un titolo, quasi un suggerimento fantastico del clima nel quale nasce la composizione.

Proprio in questo caso occorre respingere la tentazione di interpretare l’opera di Debussy come una sorta di musica a programma, in cui si voglia procedere ad una sorta di narrazione musicale ripercorrendo il tracciato di eventi, situazioni, luoghi e persino leggende che la musica vorrebbe se non proprio descrivere, almeno evocare.

I Preludi

Ed è proprio in questa circostanza che Debussy trovò una forma personale ed originalissima per introdurci nel modo più corretto all’interpretazione dei suoi intenti, forma escogitata proprio per la presentazione dei suoi ventiquattro Préludes, dei quali in questo Compact Disc viene eseguito il primo libro: ad ognuno di essi infatti viene associata una immagine, ma non come titolo, bensì piuttosto come didascalia, preceduta da alcuni puntini e pudicamente inserita tra parentesi…

Ciò sta quasi a dichiarare l’assenza deliberata dell’intenzione che gli si poteva attribuire di descrivere o narrare alcunché; si tratta piuttosto di asserire in un modo assai sofisticato come l’emozione provata nell’ascolto di ognuno di questi preludi sia affine a quella che l’ascoltatore proverebbe in presenza dell’immagine cui si allude.

L’emozione provata nell’ascoltare ad esempio “Dansueses de Delphes” sarà affine a quella che l’ascoltatore proverebbe nell’osservare i movimenti lenti, ieratici ed armoniosi delle danzatrici provenienti da un luogo tanto lontano nello spazio e nel tempo.

Una interpretazione del tutto simile può essere estesa a tutti gli undici Preludi del primo libro che seguono ed i cui titoli (per così dire) vengono elencati nella copertina del disco, così come per quelli del secondo libro, e che non occorre analizzare singolarmente, poiché sanno dir tutto da soli.

In questa intenzione chiarificatrice dell’autore sta per l’appunto un atteggiamento moderno, del tutto nuovo nei confronti del valore dell’astrazione: la composizione musicale, ancorché associata ad una immagine, è avulsa dal contenuto dell’Immagine stessa e trae la sua energia inizialmente dai primi suoni che nascono dalla fantasia dell’autore e successivamente quasi solo dalla magia evocata dai suoni che precedono, dalla densità delle loro vibrazioni, dalla sensualità che si sviluppa nelle volute della loro risonanza.

I Children’s corner

Se tutto ciò è particolarmente evidente nel caso dei “Préludes”, si può affermare che valga senz’altro almeno anche per la breve, deliziosa Suite dei sei pezzi, dedicati al mondo dell’infanzia (in particolare alla figlioletta Chouchou di soli tre anni) raccolti con il nome di “Children’s corner”. La raffinatissima scrittura pianistica, tutt’altro che elementare come il titolo della raccolta vorrebbe suggerire, propone anche in questo caso Immagini assai più astratte di quanto un intento puramente descrittivo potrebbe lasciar immaginare, anche se in questo caso non si ricorre ancora allo stratagemma della didascalia.

La divertente parafrasi di una celebre raccolta di studi per pianoforte di Clementi, una ninnananna per un elefantino di pelouche, una serenata per la bambola, la danza della neve, il flauto di un pastorello ed il cakewalk (danza assai ritmata, quasi jazz) di un pupazzetto negro rappresentano la esile filigrana dalla quale l’acutissima sensibilità di Debussy evoca un mondo fatto di suoni evanescenti, ordinatissimi nella loro preziosità, più vicina questa volta alle simmetrie care al mondo di ieri, ma arricchite dalla stupefacente novità sua della modernissima armonia: l’ascoltatore può immaginare tutto oppure niente, ma certamente sarà comunque affascinato dalla musica, grandissima anche nel mondo dei piccini.

Anche quest’anno la copertina del disco è stata elaborata da Federica, che si trova lontano dagli occhi, ma non dal cuore e dalla musica del suo papà; ogni riferimento intellettualistico è rigorosamente bandito e soltanto l’immagine della Passacaglia, reinventata da Federica con un pizzico di fantasia, potrà essere giudicata adeguata o meno a costituire un piccolo contrappunto figurativo al messaggio di fantasia e di armonia che il suo papà vuole in questo modo inviare anche quest’anno a tutti i suoi amici.